Nicolò Arpinati

Giornalista presso SentireAscoltare

web maker

Non sappiamo mai bene cos'è a colpirci davvero, non lo sappiamo per noi stessi, difficile saperlo per gli altri.

D1 — Nel 2013 Timothy Morton pubblica Hyperobjects, un libro al quale il nostro disco è ispirato. (Per avere un’idea di cos’è un iperoggetto, pensa al riscaldamento globale, che è: non-locale, viscoso, esteso nel tempo, ecc. ecc.). Morton nel suo libro fa anche vari esempi di hyper-music, passando dai My Bloody Valentine a The Well Tuned Piano di La Monte Young. (Qui puoi ascoltare un mixtape fatto dai ragazzi di Not con alcune selezioni sulla base dei nomi fatti da Morton). Ora, senza necessariamente conoscere nel dettaglio ciò che dice Morton nel libro, se tu dovessi immaginare una hyper-music, quali caratteristiche dovrebbe avere secondo te? Perché?

Nicolò - Secondo me si può parlare di hyper-music riguardo quelle musiche, o sarebbe probabilmente meglio dire “quelle opere”, in cui la forma finale o non esiste o è molto meno importante del percorso svolto per ottenerla: faccio un esempio per entrambi i casi e sono tutti e due esempi recenti, perché credo che si possa parlare di hyper-music originale (nata e pensata come, non divenuta tale tramite ricollocazione semantica) soltanto per opere dell'ultimo decennio; The Life of Pablo di Kanye West che unisce il bigger than life americano ad una sorta di non-finito michelangiolesco che permette la rielaborazione da parte dello stesso West ovviamente ma anche di altri (non è un caso che una delle versioni più interessanti, strutturate e multiformi arrivi da un utente di Reddit che neanche è musicista/producer/dj, The Life of Paul) e le più recenti produzioni, in costante evoluzione, degli Autechre, vicine anche alle tesi della OOO.

Un'altra possibilità di hyper-music è quella, citata anche sopra, di una nuova vita per dischi del passato che tramite il carimento su youtube e gli algoritmi delle stesso vengono riscoperti completamente privi del loro contesto: è il caso di Kakashi, ristampato anche per il mercato occidentale dopo essere divenuto un verissimo highlight di yuotube. Forse potenzialmente tutta la musica potrebbe essere hyper (estesa, viscosa, non legata ad una dimensione locale/temporale), ma non tutta poi lo diviene effettivamente.

L'ultimo esempio che porterei è quello dei mix lo-fi hip-hop che negli ultimi anni hanno iniziato a ritagliarsi il proprio spazio sul web: sono spesso mix casalinghi e magari ripetitivi dove s'incrociano Dilla e Satie, Fruity Loops e il fruscio di vecchi vinili, immaginario anime (shojo) e un'ansia molto millenial, prodotti sovente senza grandi velleità artistiche, ma dalla diffusione sorprendente.

D2 - L'altro tema portante di dTHEd è la neurodiversità. Per i neurotipici, immaginare la vita di un neurodiverso è estremamente complesso, al limite dell'impossibile. È dunque lecito chiedersi se sia possibile per dei neurotipici addirittura creare dell'arte ispirata e fruibile da neurodiversi. Secondo te, cosa si potrebbe fare e in che maniera dovrebbe differenziarsi dall'arte per neurotipici? Ha senso creare un'arte con queste premesse o dobbiamo immaginare che l'arte nella sua vastità possa già soddisfare anche i neurodiversi?

Nicolò - Questa domanda mi mette molta difficoltà, m'interrogo spesso sulla percezioni altrui, non solo in riferimento ai neurodiversi, ma anche tra noi persone comuni: mi son trovato recentemente a parlare con più persone della terza stagione di True Detective e mi ha molto colpito che tutti si siano fissati con particolari diversi che io magari trovavo davvero marginali rispetto alla trama (la morte della moglie, i motivi che stavano dietro al rapporto con la figlia...). Fatico quindi a rispondere, perché appunto il funzionamento del nostro cervello e dunque dei nostri ragionamenti è complesso anche nei neurotipici! Comunque “che l'arte nella sua vastità possa già soddisfare anche i neurodiversi” è possibile proprio per questo, perché non sappiamo mai bene cos'è a colpirci davvero, non lo sappiamo per noi stessi, difficile saperlo per gli altri.

Mobirise
D3, da Francesco Bergamo - Ha senso – e, se sì, che senso può avere – produrre arte per le intelligenze artificiali?

Nicolò - Penso che ancora la robotica sia ancora troppo indietro per poter riflettere su questo tema: l'intelligenza artificiale attualmente è ancora molto lontana dal suo pieno sviluppo e dalla sua piena realizzazione. Certo è che, nel momento in cui le IA inizieranno a sviluppare una propria coscienza e sensibilità, si porrà il problema di un arte apposta per loro, ma temo che sarà un discorso che solo marginalmente toccherà l'uomo: non vedo infatti possibilità per noi umani di essere utili per le macchine, è il discorso di sopra dei neurodiversi, che c'è di più differente rispetto all'uomo di una macchina? Se in futuro ci sarà dunque un'arte per l'intelligenza artificiale, probabilmente saranno le stesse IA a realizzarla, la speranza è che noi uomini non si finisca per essere materiale per gli strumenti (tipo la pelle di mucca per i tamburi).


La domanda che pongo io è:
Stiamo assistendo, un po' a tutte le latitudini, al sorgere di una musica elettronica sempre più politica e politicizzata, soprattutto nella sua capacità di dare voce alle minoranze (penso alle gender issue o alla contaminazione world messa in pratica da hyperdub nelle sue ultime uscite): quali sono i motivi secondo te per cui la politica si sta affacciando sul dancefloor?