Vasco Vivani

Operatore sociale, fondatore della EeeE Edizioni e della Old Bicycle Records

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L’hyper-music è un suono che riconosco e non definisco, del quale non posso regolare inizio, fine e volume.

D1 — Nel 2013 Timothy Morton pubblica Hyperobjects, un libro al quale il nostro disco è ispirato. (Per avere un’idea di cos’è un iperoggetto, pensa al riscaldamento globale, che è: non-locale, viscoso, esteso nel tempo, ecc. ecc.). Morton nel suo libro fa anche vari esempi di hyper-music, passando dai My Bloody Valentine a The Well Tuned Piano di La Monte Young. (Qui puoi ascoltare un mixtape fatto dai ragazzi di Not con alcune selezioni sulla base dei nomi fatti da Morton). Ora, senza necessariamente conoscere nel dettaglio ciò che dice Morton nel libro, se tu dovessi immaginare una hyper-music, quali caratteristiche dovrebbe avere secondo te? Perché?

Vasco - Inizio ammettendo di non aver ancora letto Hyperobjects, che però è nei 4/5 titoli sulla mia lista per l’immediato; ho però sentito la compilation di Not e mi sono fatto un’idea della musica che, a mio parere, dovrebbe rappresentare questa concezione di hyper-music.

Fredda, avvolgente e stridente... quasi una simil-musica, che ricordi i suoni che ci emozionano ma che suoni straniante e non collocabile. Penso ai Wugazi di 13 Chambers nell’ambito del mash-up, così come agli Zürich against Zürich ed al loro übernoise. Suoni semplici, amplificati o diversificati, sui quali non possiamo avere controllo.

Più prosaicamente l’hyper-music è un suono che riconosco e non definisco, del quale non posso regolare inizio, fine e volume.

D2 - L'altro tema portante di dTHEd è la neurodiversità. Per i neurotipici, immaginare la vita di un neurodiverso è estremamente complesso, al limite dell'impossibile. È dunque lecito chiedersi se sia possibile per dei neurotipici addirittura creare dell'arte ispirata e fruibile da neurodiversi. Secondo te, cosa si potrebbe fare e in che maniera dovrebbe differenziarsi dall'arte per neurotipici? Ha senso creare un'arte con queste premesse o dobbiamo immaginare che l'arte nella sua vastità possa già soddisfare anche i neurodiversi?

Vasco - Qui entriamo in un campo minato, ché la domanda è fatta tra normotipici senza un concreto dibattito con i neurodiversi.

Devo dire che, nelle mie esperienze personali e professionali (da operatore sociale ho lavorato a stretto contatto con diverse fasce anagrafiche e differenti gradi di diversabilità, neologismo recentemente coniato). Risulterebbe semplice dire che persone con un diverso collegamento nervoso e neurologico reagiscono in maniera libera ed entusiasta a musica dalla forma libera: a tal proposito ricordo un sound check dei My Cat Is An Alien a Mendrisio in un Centro Sociale adiacente alla clinica psichiatrica, con due o tre pazienti completamente avvolti dal suono ed ondeggianti dentro la musica. O del tentativo fatto con Sarram e The Star Pillow in un Centro Diurno per Anziani, con reazioni contenute ma in opposizione, con una certa difficoltà nel gestire una frustrazione dettata dalla non comprensione in individui maggiormente conservati. 

Non credo ci siano molte domande che possiamo porci, meglio tentare di sorprendere noi ed i nostri cari, vicini, nemici, passanti, neurodiversi con suoni liberi, obliqui ed istintivi. Non pensiamo l’arte, facciamola e rileggiamola insieme piuttosto.

Mobirise
D3, da Nicolò Arpinati - Stiamo assistendo, un po' a tutte le latitudini, al sorgere di una musica elettronica sempre più politica e politicizzata, soprattutto nella sua capacità di dare voce alle minoranze (penso alle gender issue o alla contaminazione world messa in pratica da hyperdub nelle sue ultime uscite): quali sono i motivi secondo te per cui la politica si sta affacciando sul dancefloor?

Vasco - Qui credo valga una facilità di espressione ma soprattutto di fruizione ad uno stadio superficiale e primario; la politica può essere parecchio stantia e la musica apertamente politica (apertamente nel senso di portatrice di un messaggio esplicito e comprensibile a primo ascolto, che produrre un qualsiasi prodotto è un atto creativo che non può e non è slegato dal contesto di ascolto e fruizione, porta o spera di portare un cambiamento e lo si potrebbe quindi leggere come politico) si è rinnovata tornando all’avanguardia, pop, elettronica e scintillante.

Il dancefloor è l’arena nella quale il popolo suda e rilascia il meglio ed il peggio di se stesso, tra frustrazioni e sfoghi... canalizzare questa energia in un messaggio che accomuni una massa di gente è quindi ovvio, logico e quasi scontato. Non lo è “solo” perché in questo frangente storico è l’elettronica a farla da padrone e non il rock. Il folk no ma ci mancherebbe altro, siamo nel futuro!

Lasciamo che lo scintillio della plastica sia lo splendido smalto del nuovo ritmo, spezzato, scattante e senza lunghe e pedanti genealogie. Oggi per la prima volta ho guidato un segway, mi immagino manifestazioni chilometriche senza più dover marciare, vestiti in lycra al ritmo di Mykki Blanco! 


La domanda che pongo io è:
Considerando l’impatto e l’erosione che il genere umano sta importando ed implementando giorno dopo giorno nella società odierna a discapito del pianeta quanto l’allontanamento conscio, il rifuggire dall’informazione e dal progresso, l’estraniarsi, l’auto-eliminazione possono avere un senso in una rete iperconnessa?

Il messaggio di Chris Korda può ancora avere una valenza oppure è troppo tardi e, considerato il tempo a nostra disposizione, converrebbe conservarsi o scagliarsi nell’edonismo più spinto?